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Immagine del redattoreRudy Pesenti

Sulla strada di Azzurrina

Vi voglio regalare una delle storie che ho scritto di cui vado più orgoglioso, pubblicata sul numero di luglio 2020 all'interno di Al Vento magazine. Eccola a voi.



«Babu, dove mi porti stavolta?»

Lui, con la folta barba grigia e il cappello colorato di lana in testa - da cui probabilmente non si era mai separato durante il corso di tutta la sua vita – camminava faticosamente, tenendosi in equilibrio grazie a lei, la fiammante Azzurrina. Che poi non era più così fiammante, cominciava inevitabilmente a mostrare i segni del tempo; era una bicicletta così antica che nemmeno si ricordava quanti anni avesse.

Eppure il vecchio Babukar la teneva come se fosse nuova: la lucidava tutti i giorni, le passava l’olio sulla catena ogni settimana, e ovviamente la portava a fare dei meravigliosi giri, che lei amava dal profondo del suo forte telaio di acciaio.

Certo, ultimamente con la vecchiaia il buon Babukar aveva smesso di portarla a fare quelle lunghe escursioni vicino al fiume, o al lago, che le facevano vedere quanto fosse meraviglioso il mondo intorno a loro. Cominciava a sentirsi stanco.

Lo si vedeva dagli occhi, che ad ogni tramonto perdevano un po’ di luce, quasi come se la notte ne volesse tenere un po’ per sé.

Però ogni giorno una scampagnata gliela faceva fare, e a lei, ad Azzurrina, andava bene così.


«Babu, non me lo dici proprio dove andiamo?»

Lui ha mostrato un sincero sorriso alla sua amata bicicletta, prima di risponderle.

«Te lo ricordi Azzurrina la prima volta che ci siamo incontrati?»

«Oh, se me lo ricordo! Stavo dal Beppe, il ciclista, da qualche anno ormai. Mi ero arresa al fatto che sarei invecchiata di polvere lì dentro.»

«Oh sì, sì» ha ripreso lui, illuminandosi di nuovo in viso, «Avevo solo diecimila lire, e volevo una bicicletta. Beppe mi disse che con diecimila lire non mi ci compravo neanche la sella. Ero molto deluso in quel momento.»

Quindi, sospirando: «Sentivo che sarei potuto scoppiare a piangere da un momento con l’altro.»

«E poi Babu, poi?» lo aveva incalzato Azzurrina, «Non mi ricordo più il resto della storia.»

«E poi» ha continuato l’uomo, «Ho visto te, e me ne sono innamorato. Stavi là, nel buio. Eri l’unica che non aveva più nessuna scritta addosso.»

«Ah sì, sì, è vero!» ha ripreso lei, «Quando mi hanno spruzzato addosso tutta quella vernice è stato orribile. Non mi sentivo più io, ero la bicicletta più triste del mondo. Ho pensato che nessuno avesse mai potuto passare di nuovo delle dolci giornate con me, brutta com’ero.»

«E invece sei bellissima Azzurrina» gli aveva sussurrato dolcemente lui, carezzandola sul tubo orizzontale, «Ora proprio come allora, quando ti vidi per la prima volta.»

Babukar aveva ora di nuovo gli occhi che brillavano, sognanti, ricordando quei magici momenti. Forse anche un po' lucidi, ma tant’è.

Poi ha aggiunto: «Chiesi a Beppe quanto voleva per te, e lui mi disse: “Quella? Nemmeno va, te la regalo se vuoi.” Così uscii da quell’orrendo negozio con la bicicletta più bella che avessi mai visto: tu.»

Azzurrina era un po' imbarazzata, infatti anche se la dinamo era scollegata, ogni due giri di ruota la luce lampeggiava lo stesso.

Gli ha chiesto, poi: «Babu, ma quanto tempo è passato ormai?»

«Piccola mia, domani sono ben cinquant’anni che mi devi sopportare.»

«Sopportare? Io?» Ha cercato di spiegare ridendo lei, «Hai reso ogni giorno della mia vita più luminoso, e pieno di gioia.»

«Quando sono arrivato da quel paese africano» ha ripreso Babukar, «Non avevo niente. Non avevo soldi, non conoscevo la lingua, nessuno voleva nemmeno avvicinarsi a me. Ora la gente è un pochino più abituata alle persone di colore, invece allora no. L’inizio è stato davvero difficile, cara Azzurrina.»

«Lo so, lo so… Vedevo quanto soffrivi, quanto ti faceva male tutto questo» ha confermato lei sospirando, «Avrei voluto tanto aiutarti, e infatti cercavo di far girare le mie ruote il più velocemente possibile, per renderti più semplici almeno i percorsi che decidevi di fare. Ma spesso piangevi di nascosto, e ricordo ancora il sapore delle tue lacrime amare sul mio manubrio. Soffrivo con te, mio piccolo Babu.»

Lui l’ha guardata di nuovo come si osserva un’amante, un po' ingobbito mentre la spingeva a mano e guardava i raggi alternarsi nel riflesso delle luci dei lampioni di quella sera.

«E sei stata proprio tu a guarirmi, Azzurrina.»

«Io? E come?» ha chiesto lei perplessa.

«Grazie a te potevo muovermi, e ho potuto studiare questa lingua. Grazie a te sono potuto andare a quel colloquio di lavoro per diventare operaio, e ho avuto il posto. Grazie a te ogni giorno sono arrivato puntuale al capannone, tranne quella volta che ti sei forata. Per colpa mia certamente, che non avevo visto quei pezzi di vetro per terra. E te ne chiedo di nuovo scusa.»

Azzurrina, orgogliosa com’era, non l’avrebbe mai detto, ma l’emozione non le permetteva di parlare. Nessuno le aveva mai detto niente di simile prima d’allora.

«E sempre grazie a te» ha ripreso poi Babukar, «Ho risentito il vento tra i capelli che solo nelle fresche sere africane avevo avuto modo di provare. Insieme abbiamo guardato i migliori tramonti sul lago, insieme a te mi sono sentito di nuovo vivo, di nuovo accettato da qualcuno. Grazie a te, quando mi alzavo la mattina, o uscivo dal lavoro stanco la sera, sentivo che c’era un’amica sempre pronta ad aspettarmi, pronta a portarmi ovunque sarei voluto andare. Grazie piccola Azzurrina, grazie.»

Questa volta anche a lui – uomo tutto d’un pezzo – erano mancate le parole, per un groppo alla gola che lo aveva bloccato proprio sul finire dell’ultima frase.

Quanti ricordi con lei, quante esperienze, quante pedalate. Forse, senza Azzurrina, la sua vita sarebbe stata completamente diversa, certamente in qualche modo peggiore.


Per cambiare discorso, Azzurrina allora gli aveva riproposto la domanda iniziale: «Quindi dove stiamo andando adesso?»

Dopo aver abbassato il capo, ed essersi toccato di nuovo la folta barba, Babukar era rimasto stranamente in silenzio.

Azzurrina si stava preoccupando, ma forse - aveva pensato - era solo un po' malinconico, dopo tutti quei ricordi che gli erano riaffiorati alla mente.

«Vedi Azzurrina, io ormai ho più di ottant’anni. Non mi ci vorrà molto perché me ne vada da questa Terra, e tu sei la cosa più preziosa che ho.»

«Ma…» ha provato a intromettersi Azzurrina.

«No, piccola. Fammi parlare. Voglio che qualcuno ti tenga come meriti, qualcuno che non ti dimentichi nella polvere di qualche angusto scantinato. Io sono fragile come una foglia, come un uomo. A breve i miei giorni finiranno, i tuoi no. Quindi tu meriti di vivere ancora delle fantastiche emozioni tra salite, discese, o semplicemente in qualche escursione qui intorno. Avrei voluto portarti sull’Izoard, o sul Pordoi, ma con un solo cambio… Non sono mai stato tanto allenato.»

«Ma…»

«No Azzurrina, ora è meglio se stiamo in silenzio, perché farà male ad entrambi. Ma per te sarà meglio, sarà una nuova vita. E poi ne arriveranno altre, e altre ancora. E tu sfreccerai sempre, fiammante e splendida come adesso, come la prima volta che ti ho portata fuori da quel negozio.»

Azzurrina aveva capito, ed entrambi erano rimasti in silenzio per il resto del tragitto. Non era il caso di discutere con Babukar, non aveva mai cambiato idea una sola volta in vita sua, non l’avrebbe certamente fatto questa volta.


Arrivati in stazione, lui ha scrutato attentamente qualsiasi persona ci fosse lì intorno. Ha fatto il giro tre quattro, dieci volte. Faceva domande a tutti: li studiava, li ascoltava.

Avrà incontrato un centinaio di persone. Azzurrina, intanto lo seguiva, con una tristezza che non pensava potesse toccare anche un cuore d’acciaio solido come il suo.

C’era chi lo guardava stranito, chi lo derideva, chi lo prendeva per matto.


Infine, ha scelto.

Me.

Me, perché sorridevo.

Me, perché viaggiavo da tre giorni.

Me, perché ero senza un soldo, e senza un lavoro.

Me, perché quando l’ho vista, i miei occhi brillavano.

E ho pensato che quella, fosse la bicicletta più bella del mondo.


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